giovedì 29 maggio 2014

Aiuto: devo comprare tutto!


Si diceva che quando si sceglie di diventare motociclisti questo comporta dei costi economici che non si esauriscono nell’acquisto della moto. Chi già andava da passeggera o aveva almeno lo scooter avrà almeno un casco, e forse qualche indumento dedicato. Chi è principiante assoluta delle due ruote, se all’inizio può non porsi il problema, presto di solito si rende conto che deve procedere con urgenza a una quantità di acquisti da panico! Guidare in città uno scooter che pesa 100 chili e raramente supera i 50 all’ora e guidare una moto che pesa il doppio e può toccare i 200 (come qualsiasi naked “media” oggi considerata a torto o a ragione moto “da principiante”) non è esattamente la stessa cosa. Innanzitutto per una questione (ovviamente) di sicurezza (per quanto un impatto in scooter a 50 all’ora possa portare conseguenze molto più devastanti di quanto comunemente si crede). 

Immagine di un'abrasione da asfalto - da sicurmoto.it

Quando si va in moto ogni centimetro di pelle dovrebbe essere coperto. Lo spettacolo di centauri in tenuta balneare con tanto di ciabatte ai piedi ci è purtroppo assai familiare, per non parlare di passeggere abbigliate come cubiste solo perchè "tanto stanno dietro" (come se a cadere dal sellino posteriore ci si facesse meno male). Cadute e abrasioni a parte, avete idea di che cosa significa sentirsi arrivare addosso sulla pelle nuda un piccolo sassolino quando si è in velocità? Può avere quasi l'effetto di una pallottola. Per non parlare poi delle punture di insetti.  
Ma l'abbigliamento tecnico è anche una questione di praticità: con l’abbigliamento adeguato si sta anche più comodi e si guida meglio. Guidare a mani nude può lasciare apparentemente maggiore sensibilità ai comandi, ma l’aria fredda che ti arriva sulle nocche già a mezza stagione è fastidiosa e fa screpolare tutta la pelle. Un pantalone jeans sembrerà comodo, ma dopo che hai provato un capo tecnico in pelle o anche in cordura capisci che il cotone rigido che tira sulle chiappe non è proprio il massimo. E uno stivale tecnico permette di appoggiare il piede a terra con molta più sicurezza di una scarpa da ginnastica o di una DocMartens che tra l’altro ha la suola liscia liscia (non fraintendete: le DocMartens sono le mie scarpe preferite quando non sono in moto).

Quando si porta (o ci si fa portare) a casa la moto in genere ci si rende conto quasi subito che ci manca un sacco di roba a cui non avevamo pensato. Una sessione di moto shopping è d’obbligo… e una piccola crisi di sconforto è dietro l’angolo. Ma se compro tutto mi costa una barca di soldi… come se non già non fosse stato un salasso per comprare la moto e assicurarla! E poi che cosa comprare? Casco integrale o va bene anche quello aperto? Giacca e pantaloni o meglio la tuta in pelle? Oppure quei jeans che sembrano normali ma hanno le protezioni sulle ginocchia? E il paraschiena serve davvero, anche se all’inizio vado piano piano? E gli stivali non mi faranno cuocere il piedino d’estate? Quanti dubbi! Bè, la cosa più logica è procedere con gli acquisti un po’ per volta, partendo da ciò che è indispensabile, e cercando di capire man mano con che cosa ci si potrebbe trovare meglio. Io ho fatto così… e non è che non abbia fatto degli errori nella scelta. Se tornassi indietro alcune cose le ricomprerei, altre, col senno di poi, invece no.

Cominciamo dal primo pezzo necessario, che è anche l’unico obbligatorio per legge: il casco.
Io avevo già acquistato il mio casco anni prima della moto. Un integrale ovviamente. Mi pareva la scelta più sensata: visto che serve a proteggere la testa non ha senso che la protegga solo a metà. Di Nolan, molto particolare perché aveva una grafica ispirata all’Uomo Ragno. 


Dopotutto mi tornava utile se qualche motociclista mi invitava a fare un giro.
Però quando cominciai a fare i primi giretti per mio conto con la moto nuova capii presto che quel casco non andava affatto bene. La taglia non era giusta, gli interni avevano un po’ ceduto e mi stava largo da morire, e addirittura tendeva a scivolarmi sugli occhi. Tipico errore che fa chi si prova un casco per la prima volta, e non sa come davvero deve stare. Quindi tutto da rifare, lungo giro di negozi e alla fine acquisto del mio meraviglioso X-lite 601. 




Stavolta non badai troppo alla grafica accattivante (e infatti lo presi nero opaco), ma piuttosto alla giustezza della taglia (deve andare un pelino stretto da nuovo, e calcare un po’ sulle guance cosa che prima non sapevo), e al confort della calzata, provando almeno una decina di modelli di marche diverse prima di decidermi. Quel casco poi fece una brutta fine, dentro una scarpata, a causa di una violenta raffica di vento che buttò a terra la moto in Croazia… ma questa è un’altra storia.

Dopo il casco le prime cose che acquistai furono una giacca e un paio di guanti. La giacca la scelsi in cordura, di color nero, di taglio turistico con tante tasche.



 Oggi mi va un po’ strettina, e faticherei a metterci sotto il paraschiena, e per questo ho smesso di usarla. 

I guanti erano in pelle, di Spidi, un po’ sportivetti, traforati sulle dita. 


Le prime guide coi guanti furono un po’ traumatiche perché mi sembrava di non avere più sensibilità ai comandi… ma ci misi pochi giorni a farci l’abitudine. Oggi senza guanti quasi non faccio neanche le manovre.

Ecco: casco, giacca e guanti, per i primi tempi mi pareva potesse bastare. Andai in giro così per un paio di mesi, fino alla sosta invernale. Al resto ci avrei pensato dopo.
Quell’inverno fu piuttosto freddo e piovoso, e nelle lunghe giornate senza moto passavo il tempo a studiare come completare il mio equipaggiamento in modo da essere pronta per il risveglio primaverile. Mi serviva un paraschiena. La schiena è l’unica cosa, assieme alla testa, che se si rompe proprio non si ripara. Meglio tenerla un po’ da conto. E paraschiena fu, di livello due, per far le cose per bene. 




E poi un paio di pantaloni. In cordura, con la membrana impermeabile, e la foderina termica staccabile, così da usarli in estate e in inverno.



 E poi le scarpe. Scarpe o stivali? Mi lasciai convincere che erano meglio le scarpe, perché le avrei sfruttate di più. 


Ma fu un errore, perché con gli stivali il grado di comodità sarebbe stato lo stesso, ma avrei guadagnato in impermeabilità alla pioggia e soprattutto in protettività… (e qualche mese dopo me li comprai lo stesso).


E poi a marzo arrivò la primavera e il mio compleanno, e volli festeggiare la prima uscita in moto con un regalo molto speciale. Mi comprai un giubbino in pelle davvero super. Tutti sanno che la pelle è migliore della cordura nella resistenza all’abrasione. Ma c’era di più. La giacca in tessuto era ok, ma la pelle era una cosa speciale da sentirsi addosso, mi faceva sentire bene… come la motociclista che volevo essere.




Negli anni seguenti il mio guardaroba “da moto” è aumentato sempre di più… non dico che sono arrivata ad avere più capi “da moto” che normali… ma ci sono andata assai vicino. D’altra parte gran parte del tempo libero lo passavo in moto, e allora anche il target del mio shopping andava in quella direzione. Oggi forse comprerei di meno, e farei acquisti più mirati. Ma non è un male avere qualche cosa in più. Può sempre capitare di prestare qualcosa a un’amica che fa occasionalmente da passeggera, o a una nuova motociclista che ancora non ha nulla. Dopotutto è vero che per troppo tempo me ne sono andata in giro con solo il casco in testa, e talvolta 100 e più cavalli sotto il culo. Allora non mi ponevo troppi problemi, ma adesso mi vengono i brividi a pensarci.

lunedì 26 maggio 2014

Che moto mi prendo?


Quando ho cominciato a scoprire pian piano il mondo delle moto, ben prima di possederne una, sono rimasta molto sorpresa di scoprire quanto sia vasto e quante categorie e stili contenga.
C’erano le custom, le moto per eccellenza nei film americani, che meritavano di esser prese in considerazione solo per quello. E poi io ero ero pur sempre stata tra quelle segretamente innamorate di quel fustaccio di Renegade.


C’erano le moto da fuoristrada, enduro e cross (di cui all’epoca non mi era molto chiara la differenza), c’erano le sportive con le carene integrali e le moto “nude”, e poi quelle turistiche e quelle da trial. E se poi si passa a considerare marca per marca la confusione aumentava ancora.

Insomma  si fa presto a dire moto… ma quale era quella che davvero faceva per me?
Il mio primo amore sono state le moto da enduro… bè, non quelle da enduro vero, ma piuttosto le enduro stradali: Pegaso, Transalp... 



Mi ispiravano perché mi davano l’impressione di essere maneggevoli e piuttosto leggere, pur avendo una cilindrata di tutto rispetto. Purtroppo erano anche piuttosto alte di sella. Io che non sono particolarmente bassa ci toccavo, ma non con tutto il piede, cosa che mi dava un senso di scarsa sicurezza.

Allora mi sono orientata sulle naked (moto “nude” perché stradali ma senza la carenatura delle sportive): una posizione di guida abbastanza comoda e un’altezza della sella da terra abbastanza ridotta per permettermi di toccare con sicurezza con entrambi i piedi. E poi erano più versatili, ci si poteva avventurare in autostrada senza troppi patemi, caricarci su qualche borsa, e all’occorrenza anche andarci in due stando relativamente comodi. Sì, una naked era la scelta giusta.

Ma a due o a quattro cilindri? La differenza non mi era ben chiara. A due cilindri, leggevo, si ha la coppia massima in basso. Che tradotto in soldoni significa che la moto inizia a tirare bene da subito, si ha più ripresa ai bassi giri e si cambiano un po’ meno le marce. Per contro sarà anche un po’ più brusca e scontrosetta. Coi quattro cilindri meno ripresa ai bassi ma maggior allungo in velocità, e il vantaggio di una moto più docile e progressiva. Insomma, l’uno o l’altro portava dei pro e dei contro.

Era il periodo delle gite nei concessionari. Alla Honda avevano le ultime Hornet a carburatori in super-offerta, visto che c’era in arrivo il nuovo modello. 

Honda Hornet 

Stupende, ma con quasi 100 cavalli mi sembravano un po’ sovradimensionate per me, e poi non me la sentivo di prendere un mezzo nuovo, seppure sottocosto, un usato mi pareva più adeguato. 

Alla Ducati avevano i Monster, di varie cilindrate… ma anche quelli non mi convincevano: troppo bruschi di motore, troppo sportivi di posizione… ma soprattutto… troppo costosi per le mie tasche! 

Monster Ducati


Il mio grande sogno era la SV 650 N (moto che aveva appena preso la mia amica Manu, che me ne diceva un gran bene): due cilindri, una settantina di cavalli, un peso abbastanza contenuto (abbondantemente sotto i 200 kg), una linea agile e accattivante.

magari non gialla...


Eppure c’era qualcosa che mi tratteneva, la sentivo ancora come troppa roba per me.
Un gradino più sotto c’erano tre moto quasi “gemelle” anche nell’estetica.

Suzuki GS 500


Kawasaki ER-5

Honda CB 500

Moto spartane, efficienti, parsimoniose nei consumi e nella manutenzione. Anche i prezzi erano abbastanza simili.
Dopo lunghe riflessioni scartai la prima per il raffredamento ad aria e la seconda per via del freno posteriore a tamburo. La Honda aveva qualche cavallo in più e delle finiture un po’ migliori rispetto alle due concorrenti, quindi alla fine scelsi quella. E mi buttai a capofitto a cercare un’occasione tra gli annunci dei privati, visto che i concessionari quando chiedevo se ce l’avevano mi guardavano schifati. Ne trovai una che aveva cambiato quattro proprietari in sei anni, ma aveva pochi km, gomme praticamente nuove, e bauletto gigante compreso nel prezzo. E me la portai a casa. 

la mia moto... per la prima volta in garage

Ricordo che la feci vedere tutta orgogliosa a un tizio che avevo frequentato e che millantava una certa esperienza di moto… e me la stroncò in pieno. Con le seguenti motivazioni:

è troppo pesante;
è troppo alta di sella;
è troppo brusca;
è troppo poco potente;
ha delle sospensioni orribili;
ha il passo troppo lungo;
è troppo nuda;
è troppo nera.

E mi suggeriva che avrei fatto meglio a prendere piuttosto un Monster o una moto sportiva.
Io ci rimasi piuttosto male, perché a quel tempo credevo che fosse uno che di moto ci capiva un po’… impressione che in seguito si rivelò abbastanza infondata. Comunque mi tenni la moto… il tizio invece non so più neppure che fine abbia fatto, e non posso dire che sia stata una gran perdita.

Alla fine se dovessi dare un consiglio a a qualcuno (magari una ragazza, perchè gli uomini non chiedono consiglio e sanno o credono di sapere già tutto) che deve scegliere la sua prima moto non direi: scegli quella che ho scelto io. Direi piuttosto: per prima cosa prendila usata, e non troppo specialistica, perchè chi inizia ad andare in moto non sa quale sia la moto adatta a lui, e non sa neanche se gli piacerà davvero andarci.
Poi alla fine vanno tutte abbastanza bene... magari meglio non troppo pesanti e non troppo potenti... si può imparare con tutte quante. La cosa veramente importante è alla scelta ci arrivi da te, studiando, informandoti, leggendo recensioni, ascoltando tanti pareri... insomma: che la moto la scelga tu perchè piace a te e ne sei convinta, e non perchè Tizio o Caio ha detto che è meglio questa piuttosto che quell'altra.


Il CB coi suoi 175 kg e i suoi 58 cavalli era una moto più che adeguata per me. Anzi, per i primi tempi  era pure sovradimensionata. Quando imparai a guidarla e a capirla pensai che difficilmente avrei trovato un’altra moto così adatta a me, e questo in parte lo penso ancora. Il bicilindrico in linea faceva sì che riprendesse bene anche ai bassi, ma al tempo stesso non aveva lo strappo violento di una Ducati. Il peso non era eccessivo, e l’impostazione non troppo spinta perdonava abbastanza qualche errore da neofita. E i 58 cavalli erano il giusto da non mettere in difficoltà chi come me avrebbe avuto problemi a gestirne troppi, ma anche da permettere qualche uscita a lungo raggio con un po’ di autostrada in mezzo (specie dopo che ci avevo messo un parabrezzino che riparasse un po’ dall’aria addosso). Non che non avesse difetti (che la moto senza difetti devono ancora inventarla)… ma era la mia prima moto, e l’amai come si amano le prime moto: di un amore totale e folle. Io ero la mia moto e lei era me.


venerdì 16 maggio 2014

In viaggio: Verdon e Route de grandes Alpes – agosto 2010

Nell’estate 2010 ritenevo di aver accumulato una discreta esperienza, diciamo abbastanza da considerarmi “principiante avanzata” e non più principiante assoluta. Attendevo con ansia il momento del mio secondo viaggio importante, dopo la memorabile cavalcata attraverso i Balcani dell’anno prima. Avevamo organizzato tutto quanto: itinerari, soste, luoghi da visitare… e poi è andato tutto in modo completamente diverso. 

Per prima cosa ho dovuto cambiare compagni di viaggio. A dieci giorni dalla partenza Filippo aveva dei grossi problemi di lavoro che hanno fatto saltare tutto. Mi disse: almeno tu che puoi non rovinarti le vacanze, vai anche senza di me. Ma non mi piaceva l’idea di viaggiare in solitudine, così mi rivolsi a un grosso forum che frequentavo assiduamente, e mi aggregai a un gruppo di ragazzi che stava organizzando un giro per la settimana di Ferragosto. 

E qui il secondo cambiamento: la destinazione. Non più l’Europa dell’est, come era nel progetto originario, ma la Francia: le Alpi provenzali e le gole del Verdon. L’itinerario si presentava magnifico, con tanta montagna, tante curve e paesaggi mozzafiato. 

Il terzo cambiamento, il più imprevisto e traumatico, fu quello della moto. Un paio di giorni prima della partenza le prime avvisaglie: la mia inossidabile Little Wing aveva qualche problema, con tutta probabilità di batteria. Siccome non c’era tempo di provvedere essendo sotto Ferragosto all’inizio decisi di partire con la moto così com’era, confidando nella buona sorte, e nella presenza costante di qualche buonanima pronta a darmi una spinta. Ma quando mi trovai al casello di Piacenza, dove avevo appuntamento con gli altri, con la moto spenta che non voleva saperne di ripartire, e trattandosi di un casello non era possibile avviarla a spinta capii che partire in quelle condizioni per un viaggio così impegnativo sarebbe stato un azzardo. Filippo mia aveva accompagnata lì col Bandit. Così ci venne un’idea: io avrei preso il Bandit per il viaggio, e lui nel frattempo avrebbe usato la mia moto. In cinque minuti passammo i bagagli da una moto all’altra: bauletto, borsone e borsa da serbatoio. Il Bandit 1250 è una moto fantastica per viaggiare, e mooooolto più comoda del mio CB. Purtroppo pesa anche cinquanta chili di più (altrimenti sarebbe la mia moto ideale in assoluto!), e da ferma si sentono tutti quanti. In movimento no, e anzi, è molto maneggevole per una moto di quella stazza, e anche i cavalli in più si gestiscono senza difficoltà. Dovevo essere tra tutti quella con la moto più piccola, leggera e parsimoniosa, e eccomi invece con quella più grossa, pesante e assetata di carburante. In realtà però i consumi sono stati contenuti, grazie anche al mio polso da fermona: diciamo in linea con gli altri milloni del gruppo. Sono molto felice di aver avuto l’occasione di fare un viaggio con la Bandita.




Non conoscevo affatto i miei sette compagni di viaggio, a parte Michela, una ragazza di Brescia con cui avevo già fatto delle uscite in passato. Il gruppo era piuttosto eterogeneo per età ed estrazione. Ma mi sono trovata molto bene con loro, proprio come fossero amici i vecchia data.
eccoci qua; in piedi Gianni, Alessandro, io, Sabbia; accosciati: Piero, Alex, Michela e Raz


Il piano di viaggio era organizzato così: una giornata per portarci sul luogo (passando il confine a colle Tenda e facendo il Turini) e sistemarci in albergo (avevamo prenotato una locanda che ci metteva a disposizione un grande stanzone per una cifra davvero irrisoria: 15 euro a notte a testa!).

 Il giorno seguente era tutto da dedicare al canyon del Verdon, un luogo spettacolare, una gola scavata tra le rocce e profonda 700 metri. Il fiume Verdon forma anche una serie di laghi, sulle cui sponde abbiamo fatto la sosta pranzo (con bagnetto).
Laghi del Verdon

il Verdon... da 700 m d'altezza

Alex no limits

I tre giorni successivi erano tutti per la Route des grandes Alpes e i mitici passi del Tour de France. Nell’ordine: Gorges de Daluis, - Col de la Cayolle (2326m) - Col de la Bonette (2804 m) ,- Col de Vars (2108m)  - Col d'Izoard (2360m) - Col du Lautaret (2058m),  Col du Galibier – (2677m),  Col de l'Iseran,  (2764m),  Passo del Piccolo San Bernardo e rientro in Italia.
Gorges de Daluis

Barcellonnette

La Bonette

Le salite francesi portano ad altezze vertiginose, ma sono meno secche e meno tortuose di quelle italiane. Niente di paragonabile a uno Stelvio o un Mortirolo. Essendo meno tecniche permettono un approccio con meno affanno. La strada della Cayolle, bellissima dal punto di vista paesaggistico, presentava purtroppo un asfalto piuttosto infame, irregolare, pieno di buche e di gobbe. Rifacendola tre anni dopo ho notato che non era cambiato affatto. Alla Bonette, la via asfaltata più alta d’Europa, tirava un vento assassino talmente gelido che non ho avuto il coraggio di togliermi il casco. Fantastico l’Izoard, con i suoi pinnacoli rocciosi che sembravano sciogliersi sul fianco ghiaioso della montagna. 

Izoard

Galibier


Ai piedi dell’Iseran la sosta notturna a Bonneval, un piccolo villaggio dall’aria fiabesca, con le casette in legno e pietra dal tetto in ardesia, e fiori colorati ovunque.

Casetta degli orsetti a Bonneval

La parte motociclisticamente più tecnica l’abbiamo affrontata dopo il passo del Piccolo san Bernardo, scendendo verso Aosta: una serie di tornanti che pareva senza fine, per di più col tempo che dopo averci graziato fino a quel momento pareva volgere al brutto. 
Piccolo san Bernardo



Poco prima di Aosta il gruppo si è diviso: io e altri due, diretti verso il Triveneto, abbiamo imboccato l’autostrada per abbreviare i tempi. Gli altri (emiliani e lombardi) che avevano meno strada da fare, invece per statale.


Il mio viaggio si è concluso come quello dell’anno precedente, con un motoraduno: quello del moto club Pippo Zanini a Rovereto, dove mi stava aspettando Filippo con la mia Little Wing… e devo dire che per quanto mi fossi divertita alla follia con la Banditona la mia motina piccina mi era tanto mancata, e non vedevo l’ora di riaverla con me. 


mercoledì 14 maggio 2014

"O me o la moto"

Questo è un post dedicato alle donne, ma non alle donne motocicliste. Anzi, è dedicato a quelle donne che le moto non le sopportano e non le vorrebbero neppure vedere, ma loro malgrado gli tocca in qualche modo conviverci, a distanza, ma subendone la presenza.
Quelle donne che sulla moto non ci salgono, o per scelta personale, perché hanno paura, o semplicemente perché a loro non piace, o per scelta altrui, quando si tratta di uomini il cui stile di guida è incompatibile con la presenza di un passeggero (cosa che si può considerare censurabile, ma che non si può ignorare).
Quelle donne che attendono per cinque giorni che arrivi il fine settimana, sperando nel bel tempo, per poter passare un po’ di tempo col loro uomo, passeggiare, fare shopping, visitare insieme  qualche luogo romantico… e invece il sabato mattina lo trovano che si sta infilando la tuta e gli stivali e si sentono dire: oggi mi trovo con Tizio e Caio, andiamo sui passi a far due pieghe, non mi aspettare per pranzo… e sbattono perplesse gli occhioni e realizzano dopo un po’: ma le pieghe di cui parla… non sono quelle che si fanno dal parrucchiere!
E che ci restano male quando lui parla della moto chiamandola: la mia bimba, la mia piccola, il mio amore, e tutto festoso spende carrette di soldi per comprarsi scarichi fracassoni e paccottiglia in carbonio, mentre a loro per il compleanno ha regalato un foulard di Zara da venti euro.

Una donna che si sente trascurata può sviluppare sentimenti negativi: depressione, rabbia, desidero di rivalsa. Può sentirsi non abbastanza amata o non abbastanza desiderata. Può arrivare al punto di aver bisogno di una conferma “forte” di essere ancora lei il punto di riferimento per il suo uomo. Può arrivare il giorno in cui lei gli pone il fatidico dilemma: scegli. O me o la moto. E si tratta quasi sempre un giorno orribile per entrambi.


Care ragazze che odiate le moto, da donna motociclista vi dico che posso capire il vostro disagio, e vi sono vicina. È brutto quando la persona che amiamo vive gran parte della sua vita immersa in un mondo che ci è estraneo e non ci attira più di tanto. Può essere la moto… ma anche il calcio, il paracadutismo, la musica, o le cocorite (sì, conosco una donna il cui marito è appassionatissimo di cocorite, al punto da averla resa in passato piuttosto insofferente). Ma ricordate: coi ricatti non si va lontano davvero. Il ricatto è l’arma di una persona debole, che si gioca questa carta perché evidentemente sente di non averne molte altre a disposizione. Se vi mostrate deboli sarete trattate da persone deboli. Infatti nel novanta per cento dei casi un uomo messo di fronte al bivio sceglierà la moto (o la cosa che vi corrisponde). E non perché vi ami meno di quanto ami la moto. Ma perché piegandosi mostrerebbe a sua volta debolezza. Non può mostrarsi più debole di voi. Come farà poi ad assistervi e proteggervi se è debole? E quei pochi uomini che invece cederanno lo faranno molto malvolentieri, e in seguito saranno sempre accompagnati da un senso di frustrazione e di rabbia repressa nei vostri confronti. Saranno sempre pronti a rinfacciarvi la rinuncia che gli avete imposto. Credete che sia piacevole vivere con un frustrato? Io vi dico che non lo è affatto.

E allora non siate donne deboli, siate donne forti! Non dico che dobbiate farvi piacere una cosa che proprio non vi va giù, perché capisco benissimo che il mondo delle moto, meraviglioso per chi lo vive con passione, a chi la passione non ce l’ha appaia lontano e per nulla appetibile.
Ma una donna forte ne ha di risorse alternative di cui riempirsi la vita! Non è che se si sta assieme si debbano fare necessariamente le stesse cose. Lasciate all’uomo i suoi spazi, e trovatene altri da tenervi tutti per voi. Ci sono un sacco di cose che una donna in gamba può fare mentre il suo uomo è intento a smotazzare sui colli, che possono piacerle e darle soddisfazione. Può facilmente trovare una passione diversa, che le prenda il cuore, e le faccia vivere momenti indimenticabili anche da sola. Quale non lo devo dire io: può essere l’arte, la musica, la danza, lo sport… a seconda delle inclinazioni personali di ciascuna. Può approfittare dei week end da “vedova bianca” per vedere le amiche, e fare shopping assieme (lo shopping in compagnia di un uomo è di solito cosa piuttosto penosa a vedersi), andare a prendere l’aperitivo in un locale chic (se le piacciono i locali chic e magari lui non ce la porta mai), può prendersi dei giorni per viaggiare per conto suo e visitare posti che ha sempre sognato…



Se siete mamme potete inventarvi qualcosa di divertente da fare assieme ai vostri figli. Portateli in giro in bicicletta, o a camminare in montagna, o al parco divertimenti. E poi la sera tutti insieme raccontate al loro padre come avete passato la giornata: si sentirà felice per il fatto che siete stati bene, e chissà che non gli prenda perfino una punta d’invidia. E anche se non rinuncerà alle uscite in moto può anche darsi che una volta di tanto in tanto finisca per preferire la vostra compagnia. E lo farà perché vorrà farlo, non perché gli è stato imposto.

E quelle che “non voglio che il mio uomo vada via in moto perché ne approfitterebbe per mettermi le corna”? Dopo quello che ho scritto qualche tempo fa sulla carica sexy delle donne motocicliste poi il timore potrebbe essere giustificato. Ma se anche fosse non è facendogli rinunciare alla moto che si risolverebbe il problema. Ricordatevi che chi nasce tondo non muore quadrato. Se un uomo può tradire la sua donna con una motociclista lo può fare anche con una non motociclista. Se temete l’infedeltà di un uomo non credete che standogli appiccicate giorno e notte lo guarirete dal suo vizio. Se poi convenga tenersi o no l’uomo fedifrago e a che condizioni è un altro paio di maniche, e non ne tratterò in questa sede.

Ci sono poi dei casi, a dire il vero rarissimi, in cui l’uomo motociclista è veramente un fetentone egoista e meschino, che mette sopra di tutto sé stesso e i suoi interessi personali, che se ne frega di tutto il resto, che trascura davvero la sua compagna, non l’ascolta, non s’interessa ai suoi problemi e invece la sottopone a continue umiliazioni e le manca di rispetto. Ebbene, anche (o soprattutto) in quei casi il ricatto non servirà a nulla. Al massimo a farvi ricevere l’ennesimo schiaffo in faccia di cui proprio non avete bisogno.  Piuttosto girate i tacchi e andate più lontano che potete. E senza voltarvi indietro. Non temete la solitudine, perché in quella c’è pur sempre dignità, e perché la compagnia di un pessimo uomo è molto peggio. Tra l’altro è anche l’unico modo per trovarne uno migliore che vi tratti come realmente meritate. E soprattutto non date la colpa alla moto, che alla fine è solo un oggetto inanimato, e un oggetto colpe non ne può avere.

Molti si chiederanno se il discorso vale anche a parti invertite, ovvero quando è l’uomo a mettere alle strette la compagna motociclista con la drammatica scelta. Ma questo nella realtà non accade quasi mai. Un po’ perché numericamente sono molto più numerosi i motociclisti maschi delle femmine (tanto più che per la maggior parte le motocicliste femmine stanno con un motociclista maschio). Ma anche in quei rari casi difficilmente un uomo arriverà a porre esplicitamente il dilemma: o me o la moto. Semplicemente se all’uomo la moto proprio non piace non si metterà con una motociclista. Gli uomini ragionano in modo più semplice. A volte dovremmo imparare da loro.


martedì 13 maggio 2014

Le ragioni “contro”

Quando una ragazza apparentemente normale manifesta il desiderio di divenire motociclista attorno a lei si scatena l’inferno. Passi pure per lo scooter, che pur sempre offre il vantaggio di non fare le code in centro e quando si va in spiaggia, ma una vera moto, di quelle che si guidano salendoci a cavalcioni, no davvero, quella è assolutamente fuori luogo.

Girls on bikes

La prima cosa che ci si sente dire di solito è: ma sei matta? È pericolosissima! Cui in genere segue una litania più o meno lunga di incidenti e menomazioni occorse a parenti/amici/conoscenti o nella maggior parte dei casi sconosciuti di cui si è letto sul giornale.
Ok, la moto è pericolosa. Oggettivamente è un po’ più pericolosa di un’auto (ma non di uno scooter). Ma ci sono anche altre cose pericolose a questo mondo che sono assolutamente comuni e non scatenano reazioni così violente. È pericoloso sciare, fare escursionismo ad alta quota, o paracadutismo, è pericoloso fumare, e sono pericolosi tanti sport apparentemente tranquilli. I ragazzini che giocano a calcio si rompono più spesso ossa e legamenti dei loro coetanei che fanno motocross. Ed è pericoloso anche stare in casa a far faccende domestiche, ma nessuno dice a una che vuol fare la casalinga: guarda che è pericoloso, lascia perdere (forse perché gli incidenti tra le mura domestiche che pure sono frequentissimi e lasciano anche gravi conseguenze in genere non godono mai di grande rilievo su stampa e tv).

Io ricordo di aver sentito da varie bocche le seguenti obiezioni (una più assurda dell’altra):

la moto è scomoda;
e se piove come fai?
ma come fai a guidarla se non sei capace?
e se quando ci sali sopra hai paura?
ma come fai poi a mantenere la macchina e anche la moto?
e se cadi?
questa forse la più antipatica: sei troppo vecchia per imparare.

Erano obiezioni che venivano in gran parte da gente che le moto le conosceva per sentito dire, ed erano abbastanza facili da smontare una per una.

La moto è scomoda: bè, se chi me lo dice è abituata a zampettare tutto il giorno su tacco dodici la risposta se la può dare da sola. Comunque la moto è scomoda solo se ci vuoi fare le cose che normalmente faresti con l’auto: fare la spesa, accompagnare tua sorella in aeroporto, traslocare da una casa all’altra e simili. D’altra parte ci sono delle circostanze quotidiane in cui invece risulta comodissima, tipo quando sei in ritardo al lavoro e c’è coda in tangenziale, o quando vuoi andare in centro senza impazzire per il parcheggio. Ma le occasioni d’uso in cui la moto dà il meglio di sé sono ben altre.

Momentumblog


E se piove come fai? Bè, la risposta più ovvia sarebbe: mica uno è obbligato a uscire in moto sotto la pioggia. Ma sarebbe troppo facile, e poi il meteo non si può sempre prevedere in anticipo, e può capitare che la pioggia si presenti inattesa. Ma per quello c’è l’abbigliamento adeguato.

Ma come fai a guidarla se non sei capace? E tu che guidi l’auto senza esserne capace, come fai? Questa sarebbe la risposta più cattiva ma anche la più logica a una domanda talmente sciocca da non meritarne alcuna. È ovvio che da qualche parte bisogna pur cominciare, ed è ovvio che chi sale in moto per la prima volta non può essere già capace di guidarla, a meno che non sia nato con la moto sotto il culo. Ma Valentino a parte, in genere nessuno nasce con la moto sotto il culo.  

E se quando ci sali sopra hai paura? Altra obiezione priva di senso.  Si può sempre aspettare che la paura passi. Ma chi ha veramente paura di stare sopra una moto in genere non arriva mai a salirci, e tantomeno a desiderare di guidarla.

Ma come fai a mantenere la macchina e anche la moto? Questa tra le varie obiezioni è di gran lunga la più razionale. La moto è un impegno economico piuttosto gravoso, e non tanto per l’acquisto del veicolo in sé (la mia moto attuale Indian Summer mi è costata meno di una borsetta di Prada), ma per le spese di contorno che l’attività motociclistica comporta: assicurazione, bollo, un equipaggiamento adeguato (casco, giacca, guanti e anche paraschiena solo per iniziare, e poi pantaloni, stivali, completo antipioggia…), le gomme da cambiare periodicamente, un tagliando almeno una volta l’anno, e naturalmente la benzina! E tutto ciò comporta un certo esborso periodico di denaro. Si potrebbe anche dire: rinuncio all’auto, ma nella pratica dei fatti sono in pochi a poterselo permettere (in genere persone che all’occorrenza possono contare su un’altra auto che non è la propria). E allora? Bè, io ce l’ho sempre fatta, e vivevo sola e avevo pure un mutuo da pagare. Il mio segreto è che non ho altri vizi. Non bevo, non fumo, e non faccio tanta vita mondana. Per vestirmi spendo lo stretto indispensabile per avere sempre un’aria dignitosa in tutte le circostanze, ma non mi rifaccio il guardaroba ex novo a ogni cambio di stagione. Cambio i cellulari quando proprio non vanno più e li scelgo col criterio della massima parsimonia. Ho un’utilitaria vecchiotta e con tanti km, ma che fa ancora bene il suo lavoro. Amo viaggiare, ma cerco di farlo in stile low cost. E da quando ho la moto quasi tutti i miei viaggi li faccio con quella.


E se cadi? Fermo restando che si preferirebbe sempre non cadere, la risposta giusta è solo una: se cado mi rialzo. Le cadute fanno purtroppo parte del processo di apprendimento, bisogna esservi preparati, e senza demoralizzarsi prenderle come un’occasione per capire i propri errori e imparare a evitarli.

Sei troppo vecchia per imparare. Bè, mica c’è un’età massima per iniziare. Ho conosciuto moltissime persone che hanno scoperto tardi questa passione, a trenta, trentacinque anni, o anche quaranta e più, e hanno imparato lo stesso. Che male c’è a iniziare all’età in cui la maggior parte invece smette? È vero che ho iniziato tardi, ma vi assicuro che il tempo perduto l’ho recuperato in fretta e con gli interessi.

Insomma, di tutte le ragioni contro che mi si ponevano non ne ho trovata una sola che mi fosse seriamente d’ostacolo. Eppure anche le ragioni contro hanno un loro perché. Sono la voce dell’”advocatus diaboli” che si deve vincere prima di intraprendere questo percorso. Sì, perché la moto non è una cosa per tutti. E non c’è nulla di male se qualcuno effettivamente riconosce che non è cosa adatta a lui/lei. Chi la sceglie (a maggior ragione se è una donna, e non perché in quanto donna non vi sarebbe portata, ma perché per lei si tratta in genere di un mondo completamente nuovo e ignoto) deve avere alle spalle motivazioni fortissime che spingono. E allora ben vengano le ragioni contro, che per ciascuna di esse si potrà trovare una ragione pro che sia più forte e la spazzi via.



lunedì 12 maggio 2014

Ma cosa si fa ai motoraduni?

Quando ho iniziato ad affacciarmi al mondo delle due ruote e sentivo parlare di motoraduni mi ero fatta un’idea un po’ approssimativa di cosa fossero. Per me era “motoraduno” quando dei motociclisti si radunavano per fare qualcosa insieme. Insomma: se siamo in cinque che abbiamo la moto e una sera andiamo in moto a mangiare una pizza per me quello poteva considerarsi un motoraduno. Quando ho iniziato a frequentare effettivamente il mondo dei motoraduni ho capito che le cose stavano in modo assai diverso. Innanzitutto un motoraduno non è mai una cosa improvvisata, ma un evento che prevede una organizzazione logistica, un programma più o meno complesso di cose da fare, e uno staff che si faccia il mazzo a seguire il tutto. Per questo è difficile  che possa essere organizzato da un privato o anche da un gruppo di privati. Solitamente c’è dietro un club, più o meno ufficiale, o comunque un gruppo abbastanza consolidato.

Motoraduno di Recanati - aprile 2011

Ci deve essere una location adatta, che possa contenere fisicamente i partecipanti previsti. Ci deve essere un luogo coperto da dedicare al pranzo o alla cena comune, visto che i pasti sono anche occasione di socializzazione, quindi una sala piuttosto grande, oppure un tendone con tavoli e panche. Ci deve essere una cucina, qualcuno che prepara i pasti e qualcuno che li serve. Se l’evento dura più di una giornata (per esempio un week-end) ci dovrebbe essere anche un posto dove la gente possa fermarsi a dormire, visto che non tutti gradiscono pernottare in albergo (e non sempre per motivi economici): uno spazio per mettere le tende, o almeno uno stanzone per i sacchi a pelo. E poi ci vuole qualche attività a sfondo motociclistico: un giro organizzato su luoghi particolarmente interessanti da percorrere, magari con soste ristoratrici o panoramiche, il che prevede delle staffette impegnate a condurre e accompagnare il gruppo (che può essere anche di centinaia di moto), vigilando che non succedano imprevisti e che nessuno si perda per strada.

Motoraduno di Monastier - luglio 2009 - motogiro


 Oppure dei giochi di abilità e di equilibrio, da farsi in moto, dove il vincitore porta a casa un piccolo premio. 
Motoraduno dei Winterbikers - gara di lentezza su fango



Insomma, chi organizza un motoraduno deve necessariamente mettere in conto una certa quantità di denaro per pagare le spese e un certo numero di volontari (non pagati) che mettano a disposizione tempo e impegno per seguire le varie necessità. Chi partecipa spesso questo non lo sa, oppure non ci pensa, e magari crede che uno si possa svegliare la mattina e dire: ma sì, facciamo un bel motoraduno! Oppure che ci siano persone che lo fanno di mestiere e che quindi sia ovvio che si trovi tutto già bell’e pronto… cosa altrettanto assurda.

Ma un motoraduno è fondamentalmente l'occasione per conoscere un posto dove forse altrimenti non si andrebbe, e andarci su due ruote permette di conoscerlo sotto un punto di vista un po' particolare.
Motoraduno di Gussola - visita a villa Verdi


A volte capita di incontrare qualcuno che avevi sempre ammirato in TV o sui giornali
Motoraduno di Recanati - con Franco Uncini, campione motomondiale


I motoraduni possono essere impostati in modo assai vario. Alcuni sono indirizzati alle moto di una certa marca o di un certo genere, o a gente che ha scelto un certo stile di vita ben definito (come i raduni MC, ai quali non vado proprio per dette ragioni). La maggior parte però sono aperti a tutti quanti.
Il mio primo motoraduno si chiamava “motocicliste d’Assalto” perché aveva come tema dominante le donne in moto. Era nati da un’idea di una motociclista toscana, col supporto di un grosso Forum e di un moto club locale. Si teneva a Viareggio, e io a quel tempo non ero mai uscita dal Veneto con la moto sotto le chiappe, e non avevo mai fatto più di un centinaio di km in giornata, ma decisi di andarci lo stesso, e ne ho un bellissimo ricordo, anche se ero imbranatissima e mi prendevano bonariamente in giro. 
Viareggio - Motocicliste d'Assalto



Oggi i miei raduni preferiti sono quelli di impostazione un po’ biker, ma non settari. Magari con una bella location ad alta quota, come quello del passo Crocedomini, o il raduno dell’Orso sul monte Baldo. 
Motoraduno del passo Crocedomini - luglio 2010


Ben organizzati, ma un po’ “selvaggi”, dove si può campeggiare e fare un bel ritrovo di amici, dove ognuno porta qualcosa: una bottiglia di vino, un salame, una torta… e dopo aver mangiato, bevuto e ascoltato le rock band si sta tutti assieme a far baldoria fino a tardi. 

Motoraduno dell'Orso

Grigliata in compagnia


E quasi ogni volta succede che si conosce qualcuno mai visto prima, e si ride e si scherza come se si fosse amici da sempre. E la mattina ci si sveglia di fronte alle montagne, si beve il caffè smontano le tende e si fanno i bagagli, magari un po’ rincoglioniti dalla stanchezza, ma con tanta voglia di tornarci ancora.  

mercoledì 7 maggio 2014

Essere motocicliste ed essere femminili

Ecco un tema che le donne che vanno in moto affrontano spesso: quello di essere guardate “strane”, considerate delle donne “sbagliate”, spesso si ride alle loro spalle e si avanzano dubbi sulle loro preferenze sessuali per il solo fatto che hanno una passione un po’ insolita.
C’è da dire che la passione per le moto di solito non si sviluppa se non si ha in fondo all’animo una natura un po’ maschiaccia, e un certo amore per le sfide inconsuete. Possono fare eccezione forse quelle che sono state per tanti anni con un compagno motociclista  e che prima di passare alla guida, magari spinte/incoraggiate da lui hanno a lungo occupato il sellino posteriore. Ma per quelle in cui la passione nasce spontaneamente ci deve essere qualcosa che sfugge alle regole.

Girls on bikes


Io stessa mi accorgo che, moto a parte, ho un carattere con tanti piccoli aspetti mascolineggianti. A cominciare dal fatto che faccio fatica a seguire più cose contemporaneamente, ma devo concentrarmi su una per volta e portarla a termine. E quando faccio shopping solitamente non mi fermo a ravanare negli scaffali come fanno di solito le ragazze, ma vado dritta al reparto dove so di trovare la cosa che sto cercando.  Però d’altra parte faccio fatica a leggere le cartine se sono orientate a rovescio, e se devo trovare un certo posto mi fermo a chiedere ai passanti, cosa che gli uomini aborrono... il che mi rassicura sul mio essere femmina.

Ovviamente mi piace avere un bell’aspetto, anche se tendo generalmente a privilegiare la praticità rispetto all’estetica. Il che quando quando si va in moto si traduce in una serie di limitazioni:
- niente trucco: si rovinerebbe sotto il casco;
- niente capelli sciolti né acconciature elaborate: i capelli devono essere raccolti in una coda di cavallo sobria, o se sono abbastanza lunghi in una treccia;
- niente abbigliamento da vamp, ma giubbotto in pelle e pantaloni con protezioni, e poco male se fanno i fianchi più larghi quando proprio non ce ne sarebbe bisogno;
- niente scarpe eleganti (si sciupano col cambio), e specialmente col tacco alto, di cui peraltro non sono grande amante. Il tacco alto in moto è ammesso solo se ci si sta recando al provino per la parte di Catwoman in Batman;
- e biancheria intima sobria in cotone, perché tanga e perizomi si trasformano in strumenti di tortura da Santa Inquisizione!

Insomma, quando vedete un'immagine di una ragazza in moto conciata così: 

Girls on bikes


o la moto non è sua, o si è messa in posa solo per la foto.

Molte ragazze comuni a questo punto della lettura avranno già la pelle d’oca, e si domanderanno: ma allora le motocicliste sono condannate ad essere sempre sciatte e trascurate… come fanno ad essere affascinanti e ad avere una vita sentimentale se vanno in giro così?
Ma io vi dico: sbagliate di grosso, perché le motocicliste sono tra le categorie di donne più sexy del mondo! Qualcuno le troverà poco eleganti nel look, ma di sicuro non passeranno mai inosservate. Tra i motociclisti uomini poi l’effetto è di una vera e propria bomba di ormoni!  Anche quelle con l’aria dimessa e magari non troppo favorite dalla natura sono trattate come delle gnocche imperiali, e tutti fanno a gara per rivolgergli la parola e attirare la loro attenzione. Io di centaure single ne conosco veramente poche!

Girls on bikes


E come mai tutto questo fascino,da dove gli viene, vi chiederete voi? Perché le ragazze con la moto sono selvagge, ribelli, indomite, e corrono con il vento? 
Queste sono cose che si leggono sulle riviste da due soldi. La vera risposta è tutt’altra. Le ragazze in moto, anche coi capelli in disordine, senza trucco e ingobbite dal paraschiena appaiono bellissime fondamentalmente perché si sentono bellissime. E si sentono bellissime perché stanno facendo una cosa che gli piace da morire!

Girls on bikes


E io stessa, anche se riconosco di stare molto bene così:



mi preferisco così:




e mio marito è il primo a darmi ragione.