martedì 6 maggio 2014

In viaggio: tour dei Balcani - Agosto 2009

Questa è la storia del mio primo grande viaggio in moto attraverso l’Europa, nell’estate 2009. Alcuni di voi l’avranno già letta, mentre per gli altri mi auguro sia una piacevole novità. A quel tempo andavo in moto ormai da quasi un anno, e mi sentivo pronta per questa bella ma impegnativa avventura. Assieme a Filippo, motociclista di lunghissimo corso, poi davvero mi sembrano facili anche le cose difficili. Il viaggio prevedeva di passare la frontiera a Basovizza e attraversare nove nazioni: Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia, Bulgaria, Romania,Ungheria, Austria e infine rientro in Italia dal Tarvisio. Circa 5000 km in tutto, da percorrere in due settimane di viaggio, dal 3 al 16 agosto 2009. In mezzo una sosta balneare sulla costa dalmata, una musicale al festival della musica balcanica di Guça in Serbia, e una motociclistica al raduno del Bukowina Motorklub a Radauti nella Romania nord-orientale.
Filippo viaggiava con la sua solita Suzuki Bandit 1250, mostruosa macchina da guerra, la moto più adatta del mondo a macinare migliaia di km carica come un mulo. La tenda e quasi tutta l’attrezzatura da campeggio la portava lui. La mia moto, Little Wing, al confronto sembrava un esile puledro. A quel tempo non avevo vere borse da viaggio, a parte una borsina da serbatoio molto economica. Quello che non stava lì dentro e nel bauletto (si trattava pure sempre di portarsi ricambi per 15 giorni) l’avevo messo in una semplice bustona di nylon da supermercato, fissata sulla sella posteriore con una rete elastica e delle cinghie. 




Anche l’abbigliamento poteva essere migliorato. Dopo lunghe meditazioni avevo scelto il giubbetto estivo traforato, tanto avrebbe fatto caldo, e in caso contrario potevo sempre metterci una felpa sotto e l’antipioggia sopra. Avevo due paia di pantaloni tecnici: quelli in cordura e i jeans, ma alla fine ho usato quasi sempre questi ultimi. Non avevo stivali ma solo un paio di scarponcini un po’ alti sulla caviglia. Con me avevo anche dei vestiti e delle scarpe un po’ borghesi per le soste serali, e naturalmente il costume da bagno!
In viaggio con noi c’era anche il nostro amico Luca detto Puppet, e la sua ragazza Silvia, che viaggiavano su una Yamaha FZ6, in Serbia si sono aggregati Niki e Niki, due ragazzi bulgari che Fil e Puppet avevano conosciuto in un loro viaggio precedente.

Il 3 di agosto quindi di buon’ora cominciava l’avventura al distributore di benzina. La nostra prima frontiera era quella slovena, e quasi subito dopo quella croata. Non avevo mai attraversato un confine di Stato in moto, ed eccone addirittura due nello stesso giorno! In Croazia c’è una strada statale magnifica, che percorre la costa, in modo che scendendo verso sud ti trovi il mare a destra, e rocce e paesaggio quasi montano a sinistra, visto che le montagne arrivano praticamente a ridosso della costa. Lì ho fatto conoscenza anche con un altro compagno di viaggio non proprio gradito: il vento, che infilandosi nelle valli ti arriva addosso fischiando e ti sposta imprevedibilmente la traiettoria della moto.
Questo è il campeggio dove abbiamo passato la notte e tutta la giornata successiva. Il mare qui è talmente bello che ci pareva un peccato non lasciare almeno una giornata da dedicare ai tuffi.  Si trova a una sessantina di km da Rijeka, in una zona molto bella e tranquilla, e sopratuttto con un mare dalle acque cristalline.






Dopo la sosta balneare il 5 agosto si riparte e si torna ad essere mototuristi! Dopo colazione in sella diretti verso sud, lungo la costiera La strada è panoramica e  davvero mozzafiato,  ma la mia mente era altrove, perché il vento continuava a tormentarci con raffiche fortissime... e io facevo tanta fatica a tenere in strada la mia motina leggera leggera… e così si procedeva  con grande cautela  e lentamente.
Dopo Karlobag siamo stati fermati da una pattuglia di polizia. Non dovevamo stare lì. La strada è chiusa alle moto e ai camion per via della bora (ma che strano!) Mentre scendevamo dalle moto e armeggiavamo a cercare i documenti una raffica violentissima si portava a terra la Banditona di Fil (250 chili …. carica di bagagli come un mulo) e trascinava i nostri caschi giù per 50 metri di scarpata! Ci misi  un po’ a realizzare… ma quando vidi il mio casco galleggiare in mare fui presa  una crisi di disperazione: e adesso senza casco come facciamo a tornare a casa??? Per fortuna mentre io mi disperavo Fil si gettava a capofitto nella scarpata, e riusciva  a recuperare entrambi i caschi… il mio in particolare era conciato molto male, e pure intriso di acqua salmastra… ma tutto sommato si poteva ancora mettere in testa… La moto aveva  subito qualche danno nella caduta, ma non tali da compromettere il proseguimento. Forse impietositi dalla scena i poliziotti croati decidevano di risparmiarci la multa e ci consigliavano (ma era un consiglio che non ammetteva alternative) di raggiungere l’autostrada. Così ci allontanammo dalla costa… il tempo, prima bellissimo, sembrava cambiato, come se piovesse … ma in realtà si trattava  minuscole gocce d’acqua di mare che il vento spargeva tutto intorno come un nebulizzatore. Sull’autostrada se è possibile era  anche peggio, perché il vento davvero non concede tregua, e oltre i 100 all’ora diventa oltremodo pericoloso. 
Ok, il casco adesso è asciutto.

Abbandonammo l’autostrada dopo Spalato, a Makarska, e ci accampammo per la notte a Podgora, in un camping sulla spiaggia, dove finalmente ci aspettava un po’ di relax.




Che sete!


Compagni di viaggio: Silvia e Luca



La giornata seguente, il 6 agosto, fu dedicata ad attraversare la Bosnia, con soste in due delle città più belle: Mostar e Sarajevo, rinate dopo le atroci sofferenze della guerra balcanica, e piene di vita più che mai.

Mostar


Il ponte di Mostar


Mostar


Donna di Mostar


Sarajevo


Un fedele davanti alla moschea


Cena e caffè alla turca a Sarajevo


La mattina del 7 agosto, venerdì, lasciavamo la Bosnia sotto un cielo color grigio piombo…  andando per strade diverse, perché Luca e Silvia desideravano visitare alcuni luoghi di periferia.  Noi intanto attraversavamo la campagna bosniaca, piuttosto selvaggia, con tanto di animali al pascolo a bordo strada…. il frontale con la mucca di turno l’ho evitato proprio per un pelo! per di più piove a dirotto. Ecco la frontiera, ecco le chiese ortodosse nei paesini prendere il posto delle moschee. In terra serba finalmente la pioggia cessava di flagellarci, e subito ci imbattemmo in un giovane biker del Montenegro a bordo strada, apparentemente in difficoltà… in realtà però stava semplicemente sventolando all’aria i suoi documenti inzuppati dalla pioggia per farli asciugare! Il ragazzo, che si chiamava Dusko, era pure lui è diretto a Guça, e fu ben felice di fare l’ultimo tratto in nostra compagnia. Arrivati a destinazione mentre attendevamo l’arrivo di Puppet… ne approfittavamo per scendere a esplorare il paesino (molto piccolo in verità) e procurarci un po’ di valuta locale, visto che l’euro in queste zone rurali non è molto ben accetto… e la carta di credito addirittura sconosciuta… Trovammo un piccolo ristorante, dove poi pranzammo tutti insieme, molto carino,  gli inservienti gentili… peccato che capissero a stento il nostro inglese. Da queste parti spesso i pasti si trasformano in una sorpresa, perché non puoi sapere con certezza che cosa stai ordinando. A noi andò bene:  ci portarono una squisita zuppa di carne e cavolo cappuccio. 
Guça: l'ingresso al Festival musicale


Così a stomaco pieno  si andò a cercare di accamparci… e la cosa fu lunga e niente affatto facile, dato che ogni spiazzo d’erba appariva già brulicante di tende colorate … dopo lunghe ricognizioni finimmo per piazzare le tende in un prato privato (10 € a notte senza servizi, ci pareva caro ma non c’era un’alternativa valida). 
Tutto il paese si presentava come un immenso campo nomadi, caotico e chiassoso…per strada zingari in costume suonavano e ballavano… 
 In giro molta gente già piuttosto bevuta alle 4 del pomeriggio! Però c’è in giro una massiccia mobilitazione di forze dell’ordine che veglia su di noi. Il festival di Guça è considerato dai serbi una grande manifestazione di orgoglio nazionale…


la tendopoli del Festival










Monumento al trombettista



La mattina seguente siamo stati raggiunti dai due ragazzi bulgari, che arrivati a notte fonda avevano riconosciuto le nostre moto nell’immensa tendopoli. 

Gli amici bulgari: Niki B. e Niki K.


La specialità locale è la pecora o il maiale arrosto: gli spiedi girano a ritmo serrato in ogni angolo del campo.


Più allegra la tradizione dei pupazzetti di verdura:







Nel pomeriggio i ragazzi bulgari volevano far visita a una coppia di anziano coniugi conosciuti nel corso del loro precedente viaggio verso l’Italia, e li abbiamo accompagnati. Per arrivare alla loro casuccia bisognava percorrere una stradina sterrata… stretta, ripida, e a tornanti… su in cima  due case… e quello è il loro paese! I nonnetti erano gente semplice e di buon cuore, che ci hanno accolto a braccia aperte senza averci mai visti prima e senza capire una parola di quello che dicevamo.

Con Lubinka e Dushan









Il giorno seguente invece l’abbiamo dedicato a esplorare i dintorni: il parco naturale di Tara, e la bottega di un artigiano che scolpiva il legno.





Lasciata Guça la sera della domenica ci siamo divisi: Luca e i bulgari volevano viaggiare tutta notte e accamparsi presso un laghetto oltre il confine bulgaro. Noi abbiamo preferito fermarci a Pojate in un motel per proseguire. Viaggiare in moto di notte infatti non è molto prudente, e specie da quelle parti, dove le strade non sono sempre ben messe, spesso non illuminate per lunghi tratti, e piene di animali selvatici che attraversano all’improvviso. Meglio evitare se si può. Il motel non era granchè, ma c’era un letto e una doccia calda.
La mattina, dopo una bella colazione abbondante, eravamo pronti per attraversare il confine ed entrare a Sofia, dove a casa di Niki il bulgaro ci siamo ricongiunti agli altri.
A Sofia il tempo non era un granchè, ma grazie alla buona compagnia abbiano trascorso un paio di giorni piacevoli… anche se i nostri amici hanno preferito portarci a visitare le birrerie piuttosto che i monumenti della città.

Attraversando Sofia


Pub a Sofia



Festa a casa Niki
Puppet alla chitarra



Mercoledì 12 Agosto lasciavamo Sofia. Io e Filippo ci siamo diretti a Plovdiv, gli altri per strade diverse (ci saremmo ritrovati tutti quanti a Radauti).
Plovdiv, che dista 120 km dalla capitale, è l’antica Filippopoli, fondata dal padre di Alessandro Magno, ed è città piena di storia e di cose da vedere: rovine greche, romane, chiese di varie religioni… valeva senz’altro una sosta di mezza giornata.


Monumento a Filippo il Macedone


Teatro romano


Icone bizantine

 L’altra mezza l’abbiamo usata per percorrere i 500 km che ci separavano dalla frontiera rumena, passando per Veljko Tarnovo, fino a Ruse. Il camping era piuttosto squallido, e gestito da gente strana e poco portata per le lingue, ma pratico ed economico, e si mangiava perfino bene. Un nugolo di zanzare ci assalivano come uno stormo di kamikaze giapponesi mentre piantavamo la tenda.. . Luca, Silvia e Niki, uno dei bulgari arrivavano poco dopo di noi. In giro molti bungalow e molte roulotte… ma a parte una coppia di anziani polacchi non c’era traccia di altri ospiti… lo scenario faceva molto fil horror, e mi venne quasi il sospetto che gli strani inservienti del campeggio fossero  in realtà una banda di maniaci che attiravano i campeggiatori ignari per poi ucciderli e derubarli dei loro averi, e far sparire i corpi nel pozzo.

Ma al mattino non ci aveva assassinato nessuno. Così abbiamo passato il confine diretti a nord. Tutta la Romania attraversata in giornata da sud a nord, circa 600 km. La parte più brutta l’attraversamento della periferia di Bucarest. Qualcuno mi ha detto che è una bella città, ma la periferia, che sembra infinita, è davvero un lungo incubo: cumuli di rifiuti, donne che  si prostituiscono in pieno giorno, e gente che guida malissimo. Imboccare finalmente la tangenziale fu un vero sollievo. Il resto della Romania è del tutto diverso: una strada drittissima che pareva infinita, attraverso la campagna: casette rurali, calessi trainati da cavalli, donne che portano le mucche al guinzaglio come cani. E alle nove di sera finalmente la Bukovina, Radauti, e il motoraduno del moto club Bukowina!




Il motoraduno di Bukowina è di quelli dove si mangia un sacco e si beve anche di più… appena arrivi ti versano un bicchiere di palinka (grappa di prugne locale), tutti dormono in tenda sul prato, e la sera grande spettacolo con gruppi rock che si alternavano sul palco. 

Quell’anno avevano anche allestito una grande piscina dove si poteva fare il bagno. Insomma: grande divertimento, in un’atmosfera un po’ rude e selvaggia ma sempre cordiale… eravamo quelli arrivati da più lontano, e quindi le star assolute dell’evento.
From Italy to Bukowina

A Radauti abbiamo ritrovato i bulgari e anche certi nostri amici arrivati dall’Italia su nostra indicazione.

La cosa che più colpisce di questo motoraduno rispetto a quelli a cui siamo abitati in Italia sono le moto: non solo la mia è una delle più moderne e più potenti (!), ma non c'è n'è una che non sembri fuori di testa.














ma non sono solo le moto a sembrare fori di testa: 






Bukowina in concerto




Qui il racconto del viaggio può considerarsi praticamente concluso, anche se mi trovavo nel punto più lontano dall’Italia. 

Sabato mattina: ultimi saluti


Gli ultimi due giorni, sabato e domenica infatti erano tutti per il rientro: 1600 km attraverso Romania, Ungheria, Austria e finalmente Italia dal Tarvisio, con sosta notturna in un motel a 50 km da Budapest. Una tirata allucinante, ma anche molto emozionante; purtroppo non ho neanche una foto perché praticamente non ci siamo fermati mai. Alle tre del pomeriggio di domenica ero a casa mia, nei pressi di Padova, stravolta dalla stanchezza e dal caldo (che non avevo mai patito durante tutto il resto del viaggio). Mi sarei chinata a baciare il suolo, ma avevo la schiena troppo incriccata. E intanto pensavo: come primo viaggio serio non c’è male… magari l’anno prossimo potremmo fare in questo modo e in quest’altro… e che adesso bisognava subito cambiare le gomme, e naturalmente il casco… perché non vedevo l’ora di ripartire.

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