Questa è la storia del
mio primo grande viaggio in moto attraverso l’Europa, nell’estate 2009. Alcuni
di voi l’avranno già letta, mentre per gli altri mi auguro sia una piacevole
novità. A quel tempo andavo in moto ormai da quasi un anno, e mi sentivo pronta
per questa bella ma impegnativa avventura. Assieme a Filippo, motociclista di
lunghissimo corso, poi davvero mi sembrano facili anche le cose difficili. Il
viaggio prevedeva di passare la frontiera a Basovizza e attraversare nove
nazioni: Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia, Bulgaria,
Romania,Ungheria, Austria e infine rientro in Italia dal Tarvisio. Circa 5000
km in tutto, da percorrere in due settimane di viaggio, dal 3 al 16 agosto 2009.
In mezzo una sosta balneare sulla costa dalmata, una musicale al festival della
musica balcanica di Guça in Serbia, e una motociclistica al raduno del Bukowina
Motorklub a Radauti nella Romania nord-orientale.
Filippo viaggiava con la
sua solita Suzuki Bandit 1250, mostruosa macchina da guerra, la moto più adatta
del mondo a macinare migliaia di km carica come un mulo. La tenda e quasi tutta
l’attrezzatura da campeggio la portava lui. La mia moto, Little Wing, al
confronto sembrava un esile puledro. A quel tempo non avevo vere borse da
viaggio, a parte una borsina da serbatoio molto economica. Quello che non stava
lì dentro e nel bauletto (si trattava pure sempre di portarsi ricambi per 15
giorni) l’avevo messo in una semplice bustona di nylon da supermercato, fissata
sulla sella posteriore con una rete elastica e delle cinghie.
Anche l’abbigliamento
poteva essere migliorato. Dopo lunghe meditazioni avevo scelto il giubbetto
estivo traforato, tanto avrebbe fatto caldo, e in caso contrario potevo sempre
metterci una felpa sotto e l’antipioggia sopra. Avevo due paia di pantaloni
tecnici: quelli in cordura e i jeans, ma alla fine ho usato quasi sempre questi
ultimi. Non avevo stivali ma solo un paio di scarponcini un po’ alti sulla
caviglia. Con me avevo anche dei vestiti e delle scarpe un po’ borghesi per le
soste serali, e naturalmente il costume da bagno!
In viaggio con noi c’era
anche il nostro amico Luca detto Puppet, e la sua ragazza Silvia, che
viaggiavano su una Yamaha FZ6, in Serbia si sono aggregati Niki e Niki, due
ragazzi bulgari che Fil e Puppet avevano conosciuto in un loro viaggio
precedente.
Il 3 di agosto quindi di
buon’ora cominciava l’avventura al distributore di benzina. La nostra prima
frontiera era quella slovena, e quasi subito dopo quella croata. Non avevo mai
attraversato un confine di Stato in moto, ed eccone addirittura due nello
stesso giorno! In Croazia c’è una strada statale magnifica, che percorre la
costa, in modo che scendendo verso sud ti trovi il mare a destra, e rocce e
paesaggio quasi montano a sinistra, visto che le montagne arrivano praticamente
a ridosso della costa. Lì ho fatto conoscenza anche con un altro compagno di
viaggio non proprio gradito: il vento, che infilandosi nelle valli ti arriva
addosso fischiando e ti sposta imprevedibilmente la traiettoria della moto.
Questo è il campeggio
dove abbiamo passato la notte e tutta la giornata successiva. Il mare qui è
talmente bello che ci pareva un peccato non lasciare almeno una giornata da
dedicare ai tuffi. Si trova a una
sessantina di km da Rijeka, in una zona molto bella e tranquilla, e sopratuttto
con un mare dalle acque cristalline.
Dopo la sosta balneare
il 5 agosto si riparte e si torna ad essere mototuristi! Dopo colazione in
sella diretti verso sud, lungo la costiera La strada è panoramica e davvero mozzafiato, ma la mia mente era altrove, perché il vento
continuava a tormentarci con raffiche fortissime... e io facevo tanta fatica a
tenere in strada la mia motina leggera leggera… e così si procedeva con grande cautela e lentamente.
Dopo Karlobag siamo stati fermati da una
pattuglia di polizia. Non dovevamo stare lì. La strada è chiusa alle moto e ai
camion per via della bora (ma che strano!) Mentre scendevamo dalle moto e armeggiavamo a
cercare i documenti una raffica violentissima si portava a terra la Banditona
di Fil (250 chili …. carica di bagagli come un mulo) e trascinava i nostri
caschi giù per 50 metri di scarpata! Ci misi un po’ a realizzare… ma quando vidi il mio
casco galleggiare in mare fui presa una
crisi di disperazione: e adesso senza casco come facciamo a tornare a casa??? Per
fortuna mentre io mi disperavo Fil si gettava a capofitto nella scarpata, e riusciva
a recuperare entrambi i caschi… il mio
in particolare era conciato molto male, e pure intriso di acqua salmastra… ma
tutto sommato si poteva ancora mettere in testa… La moto aveva subito qualche danno nella caduta, ma non tali
da compromettere il proseguimento. Forse impietositi dalla scena i poliziotti
croati decidevano di risparmiarci la multa e ci consigliavano (ma era un
consiglio che non ammetteva alternative) di raggiungere l’autostrada. Così ci
allontanammo dalla costa… il tempo, prima bellissimo, sembrava cambiato, come
se piovesse … ma in realtà si trattava minuscole gocce d’acqua di mare che il vento
spargeva tutto intorno come un nebulizzatore. Sull’autostrada se è possibile era anche peggio, perché il vento davvero non
concede tregua, e oltre i 100 all’ora diventa oltremodo pericoloso.
Ok, il casco adesso è asciutto.
Abbandonammo l’autostrada dopo Spalato, a Makarska, e ci accampammo per la notte a Podgora, in un camping sulla spiaggia, dove finalmente ci aspettava un po’ di relax.
Che sete!
Compagni di viaggio: Silvia e Luca
La giornata seguente, il 6 agosto, fu dedicata ad
attraversare la Bosnia, con soste in due delle città più belle: Mostar e
Sarajevo, rinate dopo le atroci sofferenze della guerra balcanica, e piene di
vita più che mai.
Mostar
Il ponte di Mostar
Mostar
Donna di Mostar
Sarajevo
Un fedele davanti alla moschea
Cena e caffè alla turca a Sarajevo
La mattina del 7 agosto,
venerdì, lasciavamo la Bosnia sotto un cielo color grigio piombo… andando per strade diverse, perché Luca e
Silvia desideravano visitare alcuni luoghi di periferia. Noi intanto attraversavamo la campagna
bosniaca, piuttosto selvaggia, con tanto di animali al pascolo a bordo strada….
il frontale con la mucca di turno l’ho evitato proprio per un pelo! per di più
piove a dirotto. Ecco la frontiera, ecco le chiese ortodosse nei paesini
prendere il posto delle moschee. In terra serba finalmente la pioggia cessava
di flagellarci, e subito ci imbattemmo in un giovane biker del Montenegro a
bordo strada, apparentemente in difficoltà… in realtà però stava semplicemente
sventolando all’aria i suoi documenti inzuppati dalla pioggia per farli
asciugare! Il ragazzo, che si chiamava Dusko, era pure lui è diretto a Guça, e
fu ben felice di fare l’ultimo tratto in nostra compagnia. Arrivati a
destinazione mentre attendevamo l’arrivo di Puppet… ne approfittavamo per
scendere a esplorare il paesino (molto piccolo in verità) e procurarci un po’
di valuta locale, visto che l’euro in queste zone rurali non è molto ben
accetto… e la carta di credito addirittura sconosciuta… Trovammo un piccolo
ristorante, dove poi pranzammo tutti insieme, molto carino, gli inservienti gentili… peccato che
capissero a stento il nostro inglese. Da queste parti spesso i pasti si
trasformano in una sorpresa, perché non puoi sapere con certezza che cosa stai
ordinando. A noi andò bene: ci portarono
una squisita zuppa di carne e cavolo cappuccio.
Guça: l'ingresso al Festival musicale
Così a stomaco pieno si andò a cercare di accamparci… e la cosa fu lunga e niente affatto facile, dato che ogni spiazzo d’erba appariva già brulicante di tende colorate … dopo lunghe ricognizioni finimmo per piazzare le tende in un prato privato (10 € a notte senza servizi, ci pareva caro ma non c’era un’alternativa valida).
Tutto il paese si presentava come un immenso campo nomadi, caotico e chiassoso…per strada zingari in costume suonavano e ballavano…
In giro molta gente già piuttosto bevuta alle 4 del pomeriggio! Però c’è in giro una massiccia mobilitazione di forze dell’ordine che veglia su di noi. Il festival di Guça è considerato dai serbi una grande manifestazione di orgoglio nazionale…
la tendopoli del Festival
Monumento al trombettista
La mattina seguente
siamo stati raggiunti dai due ragazzi bulgari, che arrivati a notte fonda
avevano riconosciuto le nostre moto nell’immensa tendopoli.
Gli amici bulgari: Niki B. e Niki K.
La specialità locale è la pecora o il maiale arrosto: gli spiedi girano a ritmo serrato in ogni angolo del campo.
Più allegra la tradizione dei pupazzetti di verdura:
Nel pomeriggio i
ragazzi bulgari volevano far visita a una coppia di anziano coniugi conosciuti
nel corso del loro precedente viaggio verso l’Italia, e li abbiamo
accompagnati. Per arrivare alla loro casuccia bisognava percorrere una stradina
sterrata… stretta, ripida, e a tornanti… su in cima due case… e quello è il loro paese! I
nonnetti erano gente semplice e di buon cuore, che ci hanno accolto a braccia
aperte senza averci mai visti prima e senza capire una parola di quello che
dicevamo.
Con Lubinka e Dushan
Il giorno seguente
invece l’abbiamo dedicato a esplorare i dintorni: il parco naturale di Tara, e
la bottega di un artigiano che scolpiva il legno.
Lasciata Guça la sera
della domenica ci siamo divisi: Luca e i bulgari volevano viaggiare tutta notte
e accamparsi presso un laghetto oltre il confine bulgaro. Noi abbiamo preferito
fermarci a Pojate in un motel per proseguire. Viaggiare in moto di notte
infatti non è molto prudente, e specie da quelle parti, dove le strade non sono
sempre ben messe, spesso non illuminate per lunghi tratti, e piene di animali
selvatici che attraversano all’improvviso. Meglio evitare se si può. Il motel
non era granchè, ma c’era un letto e una doccia calda.
La mattina, dopo una
bella colazione abbondante, eravamo pronti per attraversare il confine ed
entrare a Sofia, dove a casa di Niki il bulgaro ci siamo ricongiunti agli
altri.
A Sofia il tempo non era
un granchè, ma grazie alla buona compagnia abbiano trascorso un paio di giorni
piacevoli… anche se i nostri amici hanno preferito portarci a visitare le
birrerie piuttosto che i monumenti della città.
Attraversando Sofia
Pub a Sofia
Festa a casa Niki
Puppet alla chitarra
Mercoledì 12 Agosto lasciavamo Sofia. Io e Filippo ci siamo
diretti a Plovdiv, gli altri per strade diverse (ci saremmo ritrovati tutti
quanti a Radauti).
Plovdiv, che dista 120 km dalla capitale, è l’antica
Filippopoli, fondata dal padre di Alessandro Magno, ed è città piena di storia
e di cose da vedere: rovine
greche, romane, chiese di varie religioni… valeva senz’altro una sosta di mezza
giornata.
Monumento a Filippo il Macedone
Teatro romano
Icone bizantine
L’altra mezza l’abbiamo usata per percorrere i
500 km che ci separavano dalla frontiera rumena, passando per Veljko Tarnovo,
fino a Ruse. Il camping era piuttosto squallido, e gestito da gente strana e
poco portata per le lingue, ma pratico ed economico, e si mangiava perfino bene.
Un nugolo di zanzare ci assalivano come uno stormo di kamikaze giapponesi
mentre piantavamo la tenda.. . Luca, Silvia e Niki, uno dei bulgari arrivavano
poco dopo di noi. In giro molti bungalow e molte roulotte… ma a parte una coppia
di anziani polacchi non c’era traccia di altri ospiti… lo scenario faceva molto
fil horror, e mi venne quasi il sospetto che gli strani inservienti del
campeggio fossero in realtà una banda di
maniaci che attiravano i campeggiatori ignari per poi ucciderli e derubarli dei
loro averi, e far sparire i corpi nel pozzo.
Ma al mattino non ci
aveva assassinato nessuno. Così abbiamo passato il confine diretti a nord. Tutta
la Romania attraversata in giornata da sud a nord, circa 600 km. La parte più
brutta l’attraversamento della periferia di Bucarest. Qualcuno mi ha detto che
è una bella città, ma la periferia, che sembra infinita, è davvero un lungo
incubo: cumuli di rifiuti, donne che si prostituiscono
in pieno giorno, e gente che guida malissimo. Imboccare finalmente la
tangenziale fu un vero sollievo. Il resto della Romania è del tutto diverso:
una strada drittissima che pareva infinita, attraverso la campagna: casette
rurali, calessi trainati da cavalli, donne che portano le mucche al guinzaglio
come cani. E alle nove di sera finalmente la Bukovina, Radauti, e il motoraduno
del moto club Bukowina!
Il motoraduno di Bukowina
è di quelli dove si mangia un sacco e si beve anche di più… appena arrivi ti
versano un bicchiere di palinka (grappa di prugne locale), tutti dormono in
tenda sul prato, e la sera grande spettacolo con gruppi rock che si alternavano
sul palco.
Quell’anno avevano anche allestito una grande piscina dove si poteva
fare il bagno. Insomma: grande divertimento, in un’atmosfera un po’ rude e selvaggia
ma sempre cordiale… eravamo quelli arrivati da più lontano, e quindi le star
assolute dell’evento.
From Italy to Bukowina
A Radauti abbiamo
ritrovato i bulgari e anche certi nostri amici arrivati dall’Italia su nostra
indicazione.
La cosa che più colpisce di questo motoraduno rispetto a quelli a cui siamo abitati in Italia sono le moto: non solo la mia è una delle più moderne e più potenti (!), ma non c'è n'è una che non sembri fuori di testa.
ma non sono solo le moto a sembrare fori di testa:
Bukowina in concerto
Qui il racconto del
viaggio può considerarsi praticamente concluso, anche se mi trovavo nel punto
più lontano dall’Italia.
Sabato mattina: ultimi saluti
Gli ultimi due giorni, sabato e domenica infatti erano
tutti per il rientro: 1600 km attraverso Romania, Ungheria, Austria e
finalmente Italia dal Tarvisio, con sosta notturna in un motel a 50 km da
Budapest. Una tirata allucinante, ma anche molto emozionante; purtroppo non ho
neanche una foto perché praticamente non ci siamo fermati mai. Alle tre del
pomeriggio di domenica ero a casa mia, nei pressi di Padova, stravolta dalla
stanchezza e dal caldo (che non avevo mai patito durante tutto il resto del
viaggio). Mi sarei chinata a baciare il suolo, ma avevo la schiena troppo incriccata.
E intanto pensavo: come primo viaggio serio non c’è male… magari l’anno
prossimo potremmo fare in questo modo e in quest’altro… e che adesso bisognava
subito cambiare le gomme, e naturalmente il casco… perché non vedevo l’ora di
ripartire.
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